Non tutti sanno che a Bojano, nel borgo d’altura, arroccato sugli avamposti del Matese, sorgono i ruderi del più antico castello del Molise. Esso fu edificato, molto probabilmente, all’inizio della dominazione longobarda (Gastaldato di Alzecone), su avanzi di costruzioni preromane di origine italica. Nato dunque per esigenze militari – ossia per garantire una difesa temporanea  durante le frequenti schermaglie fra i signori locali e/o come sistema difensivo contro le incursioni saracene – il castello fu notevolmente migliorato, anche a fini residenziali, dalla dinastia normanna dei De Moulins, dalla prima metà del secolo XI  titolari della Contea di Bojano, trasformatasi, questa, dal 1142, con il Trattato di Silva Marca, nella Contea di Molise (Comitatus Molisii).

Durante la cosiddetta guerra del Molise (1221-1223) combattuta dalla contessa Giuditta – ultima erede della contea – e da suo marito, il conte marsicano Tommaso da Celano, contro l’imperatore Federico II di Svevia, Bojano fu occupata dalle truppe imperiali che si asserragliarono lungo le mura della città. Giuditta e Tommaso, grazie ad alcune iniziali vittorie, riuscirono a rifugiarsi nel castello di Roccamandolfi, non senza aver prima messo a ferro e fuoco Bojano. La guerra, come noto, volse infine a favore dell’Imperatore. Durante le trattative di pace, esiliato Tommaso, Federico, restituì all’abile Giuditta la quasi totalità dei suoi possedimenti, ma volle riservare per sé il castello e la fortezza di Civita, che dal 1239 furono designati, grazie alla loro importanza strategica, col titolo di “castello imperiale” (castrum exemptum), l’unico nel Comitatus Molisii ad aver ricevuto un simile riconoscimento. Negli anni successivi l’Imperatore affidò la contea al figlio naturale Enzo, che poi la trasmise al fratellastro Corrado IV, futuro Imperatore. Questi si mostrò oltremodo interessato a “Rocca Bojano” (Rocca Buiani, nei documenti della cancelleria federiciana), ed a spese di altri territori vicini la fece restaurare. Con la caduta degli Svevi e la salita al potere dei D’Angiò, il castrum di Bojano fu affidato a tale Roczolino de Mandroles per una cifra di 200 once d’oro. Dopo qualche secolo esso passò sotto la proprietà della famiglia Pandone rimanendovi per circa 80 anni.  Nella notte fra il 4 ed il 5 dicembre 1456 un rovinoso terremoto si abbattè su Bojano e il Castello di Civita ne uscì irrimediabilmente distrutto. 

Il castello aveva pianta rettangolare di 116 m. di lunghezza ed una larghezza pari a 30 m. Nel suo momento di massima estensione presentava una torre circolare in corrispondenza dell’angolo nord-occidentale. Gli studi effettuati sui ruderi ancora oggi visibili e sugli oggetti rinvenuti (in special modo, ceramiche) – in occasione della campagna di scavi promossa dalla Sovrintendenza archeologica del Molise, nel 1984 -, hanno permesso di verificarne struttura, ampiezza, articolazione funzionale: il maschio, la corte alta, la dimora nobiliare e, rivolto verso l’abitato,  il ricetto, allocati rispettivamente su due blocchi distinti divisi da un fossato che, ricavato dallo sbancamento della roccia, fungeva anche da ingresso principale al complesso difensivo.

Una cinta muraria continua correva, in epoca medievale, lungo tutti i lati della montagna inglobando borgo e castello, insieme. Alla sommità di alcuni tratti dei bastioni murari che circondano ancora il borgo è possibile osservare la linea dei merli, chiusi nella costruzione delle abitazioni del quartiere ebraico (già “Costa di Melfi”, poi “Località Giudecca”), addossate alle mura, sul lato meridionale che guarda il Matese. Ma perché gli ebrei a Bojano, perché “Costa di Melfi” a Civita? Il terribile terremoto del 1456, oltre ad ingenti danni strutturali, provocò un calo demografico di enormi dimensioni, tant’è che i sovrani dell’epoca (gli Aragonesi) dovettero pensare al ripopolamento di vaste aree con ebrei e zingari, espulsi dai loro rispettivi territori. Erano tempi di diaspore politiche e religiose. Sappiamo che a Civita di Bojano venne inviata una colonia di ebrei proveniente dalla città di Melfi (oggi in Basilicata). Nei registri degli stati delle anime della cattedrale di Bojano sono presenti numerosi cognomi di origine ebraica, appartenenti con ogni probabilità ad ebrei convertiti. Il loro insediamento in città riportò in auge tante attività artigianali che rischiavano di andare perdute, come ad esempio la produzione e la tinteggiatura dei tessuti di lana. 

Tipiche sono nel borgo di Civita le abitazioni con scala esterna in muratura. E se uno aguzza la vista può anche riuscire a vedere, incastonati nei muri esterni delle case, pregiati pezzi di spoglio risalenti, indistintamente, ad epoca romana o medievale. Le antiche porte di accesso, i brani superstiti dei bastioni di cinta, le torri angolari, quando non poggiamo direttamente sulla roccia, mostrano alla base tracce evidenti di “opera poligonale”, risalenti al periodo sannitico. Civita, un vero museo a cielo aperto! [MR]